Dopo il mio percorso dimagrante mi trovo a un punto fondamentale: mantenere il peso raggiunto possibilmente per sempre.
C’è qualcosa che non quadra se ogni volta che abbasso la guardia la bilancia mi lancia strani messaggi. Dopo i miei malesseri diffusi di cui vi ho parlato mi sono un po’ abbattuta, e grazie anche ai vostri commenti ho cercato di focalizzare il mio problema e cercare una soluzione.
Il mio problema è che al momento ho perso la cognizione di sazietà e languore. Cioè il languore è ben chiaro, ma la sazietà secondo me si è sfalsata e il mio stomaco lancia messaggi ritardati. Questo comporta mangiare troppo, proprio a livello di quantità, e di conseguenza ingrassare nuovamente o comunque avere sbalzi di peso che devo tenere a bada rimettendomi in riga.
La soluzione non l’ho ancora sperimentata tanto a lungo da considerarla determinante e indeterminata, ma la sento molto in linea con le mie corde e la sto mettendo in pratica in questi giorni con soddisfazione.
Grazie a Claudia, una nostra assidua e frizzante amica, ho scoperto Dominique Loreau e i suoi libri. Mentre ero in vacanza ho letti tutti e tre i testi tradotti in italiano e ho raccolto tantissimi spunti interessanti che mi hanno fatto riflettere, ma mi hanno anche dato degli strumenti pratici immediati.
In particolare “Il piacere della frugalità” parla di alimentazione, cercando di coniugare le proprie radici culturali francesi con la filosofia Zen di cui è impregnata la vita in Giappone dove l’autrice risiede da venticinque anni. La frugalità è intesa come la capacità di ridurre le quantità di cibo, facendosi bastare poco, ma scegliendo sempre la qualità e l’estetica per conservare con esso una relazione voluttuosa e quasi sensuale.
Già ne “Le francesi non ingrassano“, che non a caso la Loreau cita e che io avevo letto tanti anni fa, viene raccontata questa predisposizione tipicamente francese di scegliere oculatamente quello che mangiano, non privandosi del piacere, ma avendo sempre sotto controllo la linea. Ma la commistione col Giappone de “Il piacere della frugalità”, che su di me ha sempre un’ascendente potente, mi ha conquistato.
Quindi vi sintetizzo gli spunti che sto pian piano facendo miei.
Nuove abitudini alimentari per mantenersi in forma
La lentezza del pasto
Sembra di aver trovato la gallina dalle uova d’oro, ma io ho veramente problemi con questo aspetto da quando sono mamma e sento di essere costantemente assediata e privata delle mie facoltà di espletare le necessità fisiologiche (dormire, mangiare, andare in bagno, lavarmi, nutrirmi a vari livelli).
Devo assolutamente riscoprire la lentezza dei pasti: cercare di masticare più a lungo e non trangugiare, eventualmente fare un boccone in meno, ma tenerlo in bocca più a lungo. Del resto i bambini stanno crescendo e anche per una questione educativa vorrei far capire loro che è importante anche rispettare le necessità vitali della mamma, o sbaglio?
L’estetica del cibo
Io subisco molto l’influsso della bellezza. Soffro la sciatteria, ma mi ci trovo spesso invischiata per mancanza di tempo ed energie.
Basta!, anche qui: l’ho notato benissimo su di me, che quando servo un pasto con cura per le stoviglie e le porzioni, mangio meno, meglio e con più soddisfazione. E allora devo farlo sempre, o quasi!
Tirar fuori i servizi buoni, i calici anche per il mezzo bicchiere di vino bianco da sorseggiare senza un particolare brindisi, le tovaglie del corredo, i tovaglioli di lino. E che diamine! E poi creare un rituale del pasto, anche quando sono sola davanti al pc: fermarmi apparecchiare, stare nel momento presente e godere ciò che mangio.
La misura
Qui arriva la rivoluzione più sostanziale. Bisogna mangiare meno, non c’è niente da fare. Bisogna ridurre le porzioni, magari transigendo anche su condimenti più gustosi e talvolta su cotture goduriose, ma farsi bastare pochi bocconi, ridurre, ridurre, rimpicciolire.
A questo proposito credo che le nostre convenzioni a tavola ci siano d’ostacolo.
Non so voi, ma io ho piatti enormi: i miei piani del servizio quotidiano hanno un diametro di 26 cm! Obiettivamente prima di vederlo pieno e confortare gli occhi è necessario caricarlo parecchio e se non si hanno insalate particolarmente voluminose, si rischia sempre di eccedere con le calorie e i grassi.
Così le scodelle o i piatti fondi per la pasta. Ho fatto una prova: nei miei fondi da 22 cm di diametro per vedere una pienezza gradevole agli occhi bisogna mettere almeno 120gr di pasta, che è decisamente troppa per un pasto di una donna della mia stazza. Ma se uso delle scodelle più piccole, bastano 80gr per avere la sensazione di abbondanza e floridezza.
E se iniziassimo a usare piatti più piccoli? E posate più piccole, per non arrivare a orientalizzarci eccessivamente con le bacchette? Sono sciocchezze? Forse sì, ma sono convinta che agiscano a livello inconscio più di quanto vogliamo credere. Così ho deciso di metter via i miei piatti piani e utilizzare quelli da frutta, le scodelle più piccole e le ciotoline da gelato. E se questa nuova consuetudine funzionerà, mi regalerò qualche bel piattino nuovo.
Uno spunto interessante carpito dal libro è quello di stabilire a occhio e croce il volume dei nostri pasti (considerando che la capienza dello stomaco di ognuno di noi dovrebbe corrispondere all’incirca alla grandezza del proprio pugno) e suddividerlo orientativamente così: tre parti di carboidrati, due di verdure e uno di proteine (o due, due e due, secondo le abitudini) utilizzando sempre uno stesso recipiente.
Per questo ogni giapponese possiede una ciotola (di dimensioni proporzionali alla sua stazza, al suo sesso e alla sua età) che viene utilizzata come contenitore dei suoi pasti casalinghi, mentre un o-bento viene scelto per i pranzi d’asporto. Avere un contenitore fisso da dover riempire dà modo di ridurre inevitabilmente le quantità e può fungere da monito e sprone a porre attenzione a ciò che si mangia.